Le Scienze della Natura e dell’Ambiente rispondono…

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Iniziamo una nuova rubrica, “Le Scienze della Natura e dell’Ambiente rispondono”, aperta al pubblico quanto più possibile, che risponde alle domande di chi legge su temi delle Scienze della Natura e dell’Ambiente. Di volta in volta, secondo il tema delle domande coinvolgeremo esperti che daranno risposte ai quesiti. Oggi iniziamo con:

Ricerca scientifica, Società e Politica: scontro od incontro?

Stiamo vivendo un momento veramente difficile, soprattutto per quelli che come me hanno dedicato tutta la loro vita professionale alla ricerca scientifica, al servizio e per il bene della Società.

Troppi disconoscimenti nel mondo del valore della Scienza, non solo quella bio-medica ma anche quella STEM ed ambientale.

Abbiamo chiamato a dare il loro parere sul tema tre illustri personaggi, di ambiti culturali diversi, che da molti anni si occupano della diffusione e della valorizzazione della cultura scientifica:

  • Enrico Alleva, Etologo, Accademico dei Lincei;
  • Gianfranco Bologna, Naturalista e Ambientalista, Presidente Onorario della Comunità Scientifica del WWF Italia, Full member del Club of Rome, Segretario generale della Fondazione Aurelio Peccei, uno dei coordinatori nazionali dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS);
  • Danilo Selvaggi, Ambientalista e Filosofo, Direttore generale della LIPU – BirdLife Italia.

Sentiamo il loro parere sul tema.

Enrico Alleva:

Accademico dei Lincei – Roma

La nostra è una Federazione tecnica, necessariamente connotata nel settore ambientale. Non può perciò rimanere inerte di fronte a un mondo a epicentro “occidentale” (ricco) che appare a tratti vituperare quelle certezze, progresso civile della umanità tutta, che da Galileo in poi rischiarano menti e progetti sociopolitici.

Negare il cambiamento climatico, scagliarsi confusamente contro le pratiche vaccinali pur rispettando la libertà di cura prevista da Art. 32 Cost. va connotando questa fase storica contemporanea. È un errore pretendere spontanea autorevolezza: magari, da noi ricercatori che indossiamo il camice bianco del tecnico immacolato e sfoggiamo elenchi succosi di pubblicazioni ad alta risonanza, generando invece involontari anticorpi in popolazioni sempre più protervamente seguaci di qualche effimero punto di vista eruttato in rete dall’inesperto complottista di turno. L’unico antidoto efficace sarebbe una complice consonanza tra cittadini e mondo della ricerca e delle università, se esso sarà in grado di rendersi ascoltato e incuriosente, sapendo uscire e diffondersi al di fuori di una asserragliata torre eburnea che si renda dolorosamente inaccessibile ai più. Anche per questo, con la dirigente ministeriale MIUR Maria Ida Mercuri e Daniela Santucci, ISS, in un lungo percorso dal 1996 producemmo la legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica e tecnologica, con particolare riguardo alle attività che investivano scuole di ogni ordine e grado. È tempo di bilanci.


Gianfranco Bologna

Club di Roma, WWF-Italia

Nell’anno in cui le Nazioni Unite hanno compiuto 80 anni sono stati inoltre raggiunti i 10 anni dall’approvazione da parte di tutti i paesi del mondo nell’Assemblea generale ONU del 2015 dell’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, nonché i 10 anni dall’approvazione dell’Accordo internazionale di Parigi per ridurre il cambiamento climatico in atto. Siamo anche nel secondo anno dell’International Decade of Sciences for Sustainable Development (2024 – 2033) e ci troviamo senza dubbio in uno dei momenti più delicati del percorso della nostra specie sulla Terra. L’obiettivo di questa iniziativa ONU, guidata dall’UNESCO, riguarda proprio la necessità di generare e diffondere conoscenze scientifiche capaci di accelerare la strada dell’umanità verso lo sviluppo sostenibile, considerata ormai da tempo, nell’ambito Nazioni Unite, una strada inevitabile per il nostro futuro.

Ma oggi ci troviamo invece in una situazione politica internazionale veramente drammatica, con la crescita e la pratica concreta di visioni sovraniste, nazionaliste, populiste, autocratiche. Queste visioni sono il profondo contrario dei principi di una condivisione politica ed economica responsabile, equa e giusta del bene comune costituito dal pianeta Terra, principi fondamentali che dobbiamo necessariamente seguire se non vogliamo raggiungere situazioni ancora più insostenibili dell’attuale.  Inoltre queste visioni politiche negano clamorosamente e addirittura combattono la straordinaria conoscenza scientifica sin qui acquisita nei complessi ambiti della conoscenza e, in particolare, proprio sulla tematica del rapporto specie umana-natura.

In sostanza sta trionfando un modello che di fatto sta scardinando le basi del multilateralismo, del diritto internazionale, della diplomazia internazionale, del senso comune di essere abitanti dello stesso pianeta. Tutto questo dovuto anche e soprattutto a una minuziosa azione di ampia diffusione, soprattutto via web, di false notizie (fake news) e false verità (fake truths).  Vediamo così un progressivo imporsi di un modello opposto rispetto a quello di cui l’umanità avrebbe realmente bisogno oggi, e cioè il cercare di fare in modo che tutte le nazioni del mondo possano confrontarsi seriamente e serenamente per affrontare al meglio i gravissimi problemi che abbiamo creato, in primis quelli che minacciano la base fondamentale dell’esistenza umana che è garantita dalla salute dei sistemi naturali senza i quali non riusciremo a respirare, a bere e a mangiare e quelli relativi ai gravi problemi di profonda disuguaglianza e sempre più ampia povertà di fasce ormai amplissime della popolazione mondiale. 

Nell’assurdo attacco alla conoscenza scientifica, l’esempio più eclatante è costituito dagli Stati Uniti: qui l’amministrazione Trump ha avviato sin dall’insediamento, un processo di eliminazione di significativi finanziamenti alla ricerca e forti riduzioni del personale scientifico, soprattutto finanziamenti e personale destinati alla ricerca sui grandi temi ambientali che affliggono l’intera umanità, come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e ha eliminato normative molto importanti su questi ambiti, promuovendone altre che vanno in direzione avversa e che cercano ovviamente di stabilizzare lo status quo, il business as usual, giungendo persino a far uscire gli USA dall’Organizzazione Mondiale della Salute, accusata di aver agito negativamente nella pandemia del COVID a favore dei vaccini (nominando tra l’altro ministro della salute Robert Francis Kennedy jr, un dichiarato personaggio no-vax, proprio mentre l’OMS sta cercando di strutturare il miglior coordinamento mondiale possibile per le probabili future pandemie), nonché a ritirarsi dall’Accordo mondiale di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico, avviando anche l’uscita dall’UNESCO (per avere un quadro aggiornato di questa situazione si vedano i testi dei puntuali articoli che appaiono regolarmente nei vari numeri della famosa rivista scientifica “Nature”). Ma gli attacchi alla scienza ambientale non riguardano solo gli Stati Uniti e coinvolgono numerosi altri paesi, tra i quali anche il nostro.

Come si possono contrastare queste visioni e queste impostazioni che costituiscono l’esatto contrario dei principi di una condivisione politica ed economica responsabile, equa e giusta del bene comune costituito dal pianeta Terra?

Penso sia ormai giunto il momento di avviare una vera e propria sorta di mobilitazione permanente che metta insieme, come non sembra mai essere avvenuto sino ad ora, la società civile e la società scientifica organizzata, in una sorta di Stati Generali Permanenti della Sostenibilità.

L’obiettivo principale degli Stati Generali Permanenti della Sostenibilità, dovrebbe essere costituito proprio dalla capacità collettiva (mettendo insieme tante forze e tante conoscenze variegate) di svolgere una funzione “permanente” di continua promozione e diffusione corretta dei fondamenti scientifici della sostenibilità e della conoscenza scientifica interdisciplinare che ci consente di affermare lo stato di pericolo in cui si trova il rapporto Homo sapiens – natura e le possibilità concrete e operative per sorpassarlo.

Questa azione dovrebbe essere affiancata da un’attività “permanente” di segnalazione e di chiarimento documentato per contrastare la diffusione di fake news e fake truths, ampiamente riportate dai media politicamente orientati, aggiungendo la peculiarità e la novità di un’unione delle forze dedicate a informare al meglio l’opinione pubblica su quei provvedimenti politici che, di fatto, costituiscono il contrario di quello che dovrebbe essere attuato per garantire un mondo vivibile a tutte e tutti e, in primis, alle giovani generazioni.  


Danilo Selvaggi

Lipu – BirdLife Italia

Da cosa dipendono le difficoltà della scienza nel tempo della crisi ecologica? Per quali ragioni, proprio quando il discorso scientifico dovrebbe svolgere un ruolo chiave, la politica e più in generale la società si discostano dalla scienza, tra scetticismo, disinteresse o vero e proprio rifiuto?

Da un lato, siamo di fronte a una questione antropologica: la crescente complessità del reale e i suoi problemi sempre più intricati costituiscono un invito a scappare via dalla scienza e a rifugiarci in mondi altri, semplificati, banalizzati se non del tutto irreali. Più la scienza ci mette dinanzi alla crisi, e dunque alla consapevolezza e alla responsabilità, più cerchiamo rifugio in un altrove confortante, ancorché fittizio.

C’è, tuttavia, anche un altro tipo di atteggiamento: è l’atteggiamento di chi, di fronte alla crisi ecologica e alla prospettiva di una conversione dei modelli che la producono, con conseguente perdita di posizioni e privilegi, contrasta intenzionalmente la scienza, le toglie peso, rilievo, risorse, voce. È ciò che chiamiamo negazionismo scientifico, declinato nelle sue varie versioni.

Ma c’è un livello ulteriore del problema, che questa volta dipende, paradossalmente, dalla inattaccabilità della scienza. Più la scienza fa ricerca e produce conoscenza, più il profilo della crisi ecologica diventa chiaro, innegabile.

Per questo, una nuova forma di negazionismo, questa volta di tipo culturale, si sta affermando. A differenza del negazionismo scientifico, il negazionismo culturale non nega il problema ecologico ma la sua soluzione.

Il negazionismo scientifico dice: il problema non esiste. Il negazionismo culturale dice: che il problema esista o meno, non esiste la soluzione. Le richieste di cambiamento che esprime sono irricevibili, inaccettabili.

E così, nel momento in cui il dato scientifico non è più contestabile perché troppo evidente, il livello scientifico viene ignorato, bypassato, e l’accento è spostato sul piano sociale, tramite la rivendicazione di una cultura e di uno stile di vita che, sebbene ambientalmente insostenibili, non devono essere messi in discussione.

È questa la nuova frontiera della contesa ambientale: un mix di negazionismi che non a caso emerge nel tempo della transizione ecologica, quando cioè la posta in gioco è diventata veramente grande, e chiama in causa, assieme, scienza e cultura, scienza e politica, dati e valori, chiedendo loro nuove strategie e rinnovate modalità di azione.

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